Le lussuriose della Commedia
di Alessio Di Dio 1°A, Martina Guzzinati 1°A e Mario Sardo 1°B
Chi erano i lussuriosi:
“intesi ch’a così fatto tormento
enno dannati i peccator carnali
che la ragion sommettono al talento.”
(Inferno, V, vv. 37-39)
Le anime dannate, incontrate da Dante-personaggio nel II Cerchio dell’Inferno e raccontate da Dante-autore nel Canto V del primo libro del suo poema, sono i lussuriosi, coloro i quali preferirono la passione amorosa (“il talento”) alla ragione. Questi personaggi, alcuni letterari e altri realmente esistiti, erano accomunati tra loro dal fatto di essere morti in modo violento a causa di un amore che non sono riusciti a controllare (come il caso celebre di Paolo e Francesca o della regina Didone), o che hanno vissuto all’insegna della lussuria più sfrenata (come Semiramide) o il cui amore fu causa di atroci guerre (come Elena e Cleopatra).
Le lussuriose che Dante incontrò all’Inferno
Tra “le donne antiche e cavalieri” (Inferno, V, v. 71) incontrati in questo “loco d’ogne luce muto” (Inferno, V, vv. 37-39), escludendo Achille, Paride e Tristano, appena accennati dall’autore, sono i personaggi femminili ad animare il canto. Anche lo stesso Paolo, compagno di Francesca, non viene neanche menzionato direttamente.
Qui di seguito una breve presentazione delle lussuriose citate da Dante.
Semiramide
Semiramide era regina degli Assiri, vissuta tra il XIV e il XIII secolo a.C.
Nel verso “fu imperatrice di molte favelle” Dante fa riferimento al fatto che il suo impero era così vasto che al suo interno si parlavano diverse lingue.
Dante la colloca qui perché, secondo le fonti medievali, era una donna disposta a tutto pur di portare avanti le sue passioni amorose. Fu anche accusata dell’omicidio del marito ed di essersi follemente innamorata di suo figlio, per cui proclamò delle leggi che rendevano ammissibile anche un simile amore innaturale: “A vizio di lussuria fu sì rotta / libido fé lecito in sua legge”. (Inferno, V, vv. 55-57)
Didone
Didone era la regina di Cartagine. Si innamorò e legò ad Enea rompendo così il patto di fedeltà con il marito appena defunto, Sicheo, per togliersi infine la vita quando il nuovo amante la abbandonò per continuare il viaggio indicatogli dagli dèi. A seguito di questo abbandono, secondo il mito, ebbe inizio la rivalità tra Roma e la capitale punica.
Cleopatra
Amante prima di Cesare, che la pose sul trono d’Egitto dopo aver destituito il fratello di lei Tolomeo, e poi di Antonio, che per lei si fece assegnare il controllo della provincia d’Egitto ed abbandonò a Roma la legittima moglie, utilizzò per tutta la sua vita la lussuria come strumento per raggiungere il potere. Durante la battaglia di Anzio tra Antonio ed Ottaviano Augusto, per non cadere prigioniera di questo ultimo, saputo della morte dell’amante, si tolse la vita facendosi mordere da un serpente velenoso, un aspide.
Elena di Troia
Elena, personaggio chiave dell’Iliade, era la moglie di Menelao, re di Sparta.
Secondo gli antichi, Elena era la “donna più bella del mondo”.
Il mito racconta che Paride s’innamorò di Elena (per opera di Afrodite, alla quale Paride aveva assegnato la “mela d’oro”) e la rapì, portandola a Troia. Menelao con l’aiuto del fratello Agamennone, organizzò così una spedizione militare per vendicare l’offesa subita dando origine alla guerra tra il popolo greco e quello troiano.
Francesca da Rimini
Figlia di Guido da Polenta, notabile signore di Ravenna, alla sola età di 15 anni fu data in moglie a Gianciotto Malatesta signore di Rimini. Matrimonio frutto di un interesse, celebrato più che per amore, per sancire un’alleanza tra due casate di Romagna. Non si conosce molto della donna, se non che morì alla sola età di 23 anni.
Quello che però tutti conosciamo di lei lo ha raccontato Dante nel Canto V dell’Inferno, attraverso parole davvero struggenti, che narrano la sua vicenda persa tra il mito e la realtà: la donna si innamorò del cognato, Paolo Malatesta, il quale ricambiò il suo amore. Gianciotto, scoprendo i due amanti, secondo quanto si evince dal testo dantesco, li uccise. “Galeotto fu il libro e chi lo scrisse: / quel giorno in più non vi leggemmo avante.” (Inferno, V, v. 137-138)
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